“Sono state le lotte del femminismo del secolo scorso a costringere la società a ripensare la maternità, fino a definire madre solo quella che accetta di esserlo, trasformando in scelta individuale ciò che era un destino collettivo”.
Cara mamma,
ti scrivo questa lettera perché voglio dirti qualcosa di importante. È difficile, come figlio, affrontare queste tematiche con te perché, da qualche parte dentro di me, sono ancora convinto che il mondo l’abbia fatto tu.
Eppure, crescendo, questo mondo mi ha messo di fronte a delle prove dure da superare, ma non ho mai sentito che il tuo sostegno stesse venendo meno. Parlo di mondo per non parlare di vita, ma forse sarebbe più corretto chiamarlo società, o persone o sistemi di pensiero: insomma, altri esseri umani come noi che ho sempre creduto essere uguali a me, specialmente per quanto riguarda il rispetto e la disponibilità reciproca.
Mio malgrado, ho scoperto invece che le persone non sempre sono aperte e amichevoli, anzi sanno essere spregevoli e ferire nell’identità e nell’intimità.
Ti scrivo per parlarti della paura, quella paura che dentro di me non fa che rendermi simile a chi, mosso da questo sentimento, non si rende conto del male che può fare.
Anche io la sento, così come percepisco quel disagio che umanamente e naturalmente nasce quando mi trovo di fronte a qualcosa di sconosciuto. Tuttavia, dentro di me ricordo anche ciò che mi hai insegnato con la tua storia e che ho imparato con l’esperienza, ovvero che la diversità non è che una fonte di arricchimento potenziale e sostanziale.
Cara mamma, mi ritrovo oggi ad affrontare qualcosa che mi spaventa: la mancanza di dialogo.
Non riesco a trovare un punto di contatto con chi la pensa diversamente da me, quando basterebbe ricordarsi che non siamo affatto così distanti gli uni dalle altre come possa sembrare.
Io vedo solo mamme, papà e figli e figlie e soprattutto vedo delle famiglie, ognuna con la sua specificità, la stessa che vuole essere negata a noi.
Come spesso mi accade, adesso che anche io inizio a muovere i primi timidi passi in questa vita, ammetto che a volte mi tremano le gambe, come quando da bambino piangevo perché dovevo separarmi da te e dalla mamma per andare a scuola.
Così ora, avverto il bisogno di guardarmi indietro, vedere il tuo volto sereno e fiducioso e sentire la solidità della mia identità, che nel nostro amore trova la sua base più salda e sicura.
Sì, perché in questo sei stata una madre eccezionale: mi hai dato un senso e soprattutto non mi hai dato per scontato. Hai lottato per me, per avermi e per far sì che chiunque vedesse chiaramente ciò che sono già incontrovertibilmente: tuo figlio.
Ti sei imposta e hai portato avanti un’esistenza che rispecchia la lotta e la vita di tante donne prima di te, le quali hanno affermato il diritto di scegliere per loro stesse una direzione che non fosse pre-impostata, cioè quella di essere solamente mogli e madri.
Qualcosa che oggi, almeno a molte persone, risulta ovvio.
Essere donna non significa essere madre, o almeno non necessariamente: tu hai scelto di esserlo, hai desiderato di esserlo, così come hai desiderato me e di questo non posso che ringraziarti.
Oggi però ti ringrazio ancora di più per avermi dato la possibilità di vedere e di capire la dignità e la forza di chi invece alza la testa e grida con orgoglio di non voler avere il tuo stesso percorso e, soprattutto, di non voler diventare mamma.
Ma cosa significa davvero essere madre?
Forse mettere al mondo un figlio con il proprio corpo di donna?
Ovviamente non posso che dissentire se penso a te, alla nostra famiglia e al momento in cui tu e la mamma decideste di concepirmi.
Generare e partorire un bambino o una bambina non conferisce automaticamente lo statuto di madre, o quanto meno di mamma.
Tu non mi hai partorito, eppure sei la mia mamma. E sai cosa c’è? Oggi voglio essere io quello che grida: voglio gridare al mondo la preziosità del tuo dono così generoso, perché è grazie a te che posso affermare la mia sicurezza ontologica.
Questa è la maternità, questo è essere mamma: accogliere tra le proprie braccia l’esistenza dell’altro da sé e riuscire a darle una direzione, riuscire a comunicare all’altro la forza dell’amore che ti ha voluto e ti vuole su questo mondo, come individuo forte e indipendente, forse prima ancora che come figlio o figlia tua.
Se “sono”, lo devo anche a te perché ho sempre sentito di essere il frutto del tuo desiderio: ed ora, eccomi qui a parlare con gli altisonanti paroloni del giovane uomo che sono diventato.
Cara mamma, adesso voglio parlare anche con te, avendoti lasciata un po’ in disparte finora.
In realtà, non penso di doverti dire molto: tu mi hai dato tutto questo e altro ancora.
Mi hai insegnato che il mondo in cui viviamo è fatto di regole, di strutture e di funzioni.
Mi hai sempre detto che la concretezza è alla base della vita: mi hai trasmesso il valore e l’importanza della realizzazione personale, in quanto dispiegamento delle mie potenzialità, il significato del denaro come mezzo di sostentamento e la solidità di una professione che potesse rendermi felice e completo.
Mi hai dimostrato quanto coraggio sia necessario per alzarsi ogni giorno e rivendicare il diritto di essere madre ma anche una professionista, a quanta forza hai dovuto ricorrere quando hai deciso di mettermi al mondo insieme alla tua compagna e rischiare di perdere il tuo posto, che ti definisce in modo così determinante.
Prima non capivo tutto questo: anzi, non ti vedevo affatto diversa da qualsiasi altra mamma, perché mi hai partorito e mi hai cresciuto con cura e determinazione.
Ma evidentemente questo ancora non basta per essere trattata come tutte le altre, perché hai voluto di più: volevi essere madre e portare avanti il tuo lavoro. E ci sei riuscita.
Hai dimostrato che essere donna non ti rende diversa da un uomo qualsiasi e che, per esercitare ciò che tradizionalmente viene definito paternità, è necessario essere semplicemente una persona matura e assertiva, quale tu sei.
Care mamme, oggi vi scrivo e vi prendo per mano ancora una volta perché quelle mani mi hanno trasformato nel ragazzo che sono oggi.
Se guardo i muri delle mie pareti, vedo incorniciati i momenti meravigliosi di un’infanzia felice, che mi ha visto crescere insieme all’amore che nutrite l’una per l’altra e per me.
Grazie a voi ho sperimentato e mi porto dentro la resilienza di chi ha avuto l’affetto di due donne amorevoli e la sicurezza della loro vicinanza, la flessibilità e la dinamicità di chi non ha paura di vivere perché gli è stato insegnato quanto la vita sia bella e ricca.
Grazie a voi sono nato nel futuro e ho delle certezze che ancora socialmente mancano: mi avete dimostrato che la gravidanza non è sinonimo di maternità, così come la paternità non è legata inscindibilmente al sesso maschile, ma definisce una proprietà psicoemotiva che a voi non è mai mancata e che mi avete trasmesso.
Ma soprattutto grazie a voi ho avuto anche delle mamme come tante, che hanno vissuto apertamente le difficoltà e i problemi che l’essere genitori comporta quando ci si prende cura di un figlio, un figlio come tanti quale sono e mi vedo.
E oggi sono anche un ragazzo come tanti, legato profondamente a voi, seppur con la sua energia e la sua voglia di spiccare il volo, di bruciare le tappe e, chissà, magari farsi male: l’importante è che, con voi accanto, io non ho paura.
Care mamme, oggi vi prendo per mano e dimostro a chi non vuole vederci l’autenticità e l’umanità dei vostri sentimenti e del nostro legame. Care mamme, oggi sono qui a testimoniare che insieme siamo quel nucleo così complesso, ma anche basilare di cui tutti parlano.
Care mamme, siamo una famiglia, da sempre e per sempre.
Christopher Pacioni