Foffo: “ho avuto con Marco solo un rapporto orale a causa dell’alcol e della droga che avevamo assunto”.
Luca Varani: un nome che da giorni riecheggia in tutti i mezzi di comunicazione, dalla tv ai quotidiani online.
Un nome che risveglia sentimenti di pietà, indignazione e vergogna, ma anche rabbia, frustrazione e disorientamento. Un nome che risuona nelle coscienze di ogni individuo, che chiedono chiarezza e gridano vendetta.
Molta è la curiosità sullo svolgimento reale dei fatti, ma questo è ancora pertinenza delle indagini; al momento potrebbe essere invece più fruttuoso interrogarsi sul perché un episodio come questo, all’apparenza non troppo dissimile da altri presenti nelle cronache, abbia suscitato tanto scalpore e, soprattutto, su come sia divenuto simbolo di una lotta civile ben diversa.
Il soggetto della vicenda, un ragazzo “come tanti” e i complementi ad esso associati, alcol e droga, sono chiaramente centrali nella risposta a questi quesiti: l’elemento che sconvolge maggiormente gli animi è la natura del protagonista del dramma, ovvero il suo essere il ragazzo della porta accanto che lo rende, di volta in volta, un eventuale figlio, fratello, amico.
Eppure, la risposta non è tutta qui: ogni evento può essere interpretato non solo sul piano di realtà, ma anche su quello simbolico e affettivo, in quanto portatore degli affetti e dei sentimenti del diretto interessato ma anche dell’osservatore o dell’osservatrice.
Ridurre la caleidoscopica complessità umana solamente a carne e sangue sarebbe un errore quanto meno sciocco, tanto più che si andrebbe a trascurare un aspetto fondamentale nel determinare qualsiasi interscambio, sia esso sano o patologico, tra esseri umani, cioè la cultura all’interno della quale quell’interscambio avviene.
Basta analizzare anche superficialmente il tessuto sociale e culturale di riferimento, quello italiano medio, per comprendere non solo alcuni aspetti della vicenda in sé, ma anche gli usi che ne sono stati fatti nonché la scelta di alcune espressioni comparse negli articoli che hanno trattato il caso.
Non è possibile trascurare la base ancora profondamente omofoba e sessuofobica della società italiana per operare un’analisi davvero accurata: non stupisce l’evidente confusione, oltre che l’ingenua sovrapposizione, tra l’orientamento sessuale e l’omicidio che si sta trattando.
Non è che la vecchia questione del saggio che indica la luna e dello stolto che guarda il dito: la luna, ovvero il fatto accaduto, può essere semplicemente una psicosi indotta dall’abnorme quantità di sostanze stupefacenti di cui i due omicidi hanno abusato; il dito è l’orientamento sessuale di uno, due o tutti e tre i ragazzi, il quale può essere di qualsisi tipo e, intelligentemente, messo da parte nel guardare all’evento.
Invece no: non solo si è parlato di “festino gay”, ma anche di “comunità gay”.
Ora, cosa vuol dire “festino gay”?
Una festa cui partecipano persone il cui orientamento sessuale è gay? Cosa sta a qualificare l’attributo “gay” in un’espressione simile?
Pur volendo confidare nella buona fede di chi ha scritto quegli articoli, l’aggettivo serve solamente a suggerire un accostamento pretestuoso tra l’orientamento sessuale e le caratteristiche del “festino”, quali alcol e droga.
Tale accostamento, oltre ad essere tanto limitato e limitante quanto quello con l’atto omicida, introduce ad un’altra questione complessa dal punto di vista socioculturale: quella della “comunità gay”.
Esiste una comunità gay?
Se si considera il significato linguistico del termine “comunità”, inteso come “insieme di persone unite tra di loro da rapporti sociali, linguistici e morali, vincoli organizzativi, interessi e consuetudini comuni”, allora si può affermare che in effetti una comunità gay esista.
Tuttavia, non dimentichiamo che una qualunque comunità è sempre epifenomeno di una comunità intesa in senso macroscopico, che può essere quella nazionale, internazionale (ad esempio quella europea) o mondiale, fino ad arrivare a quella degli uomini e delle donne nel senso più generale possibile, di cui anche la famigerata “comunità gay” condivide gli aspetti più intimi.
Siamo fatti e fatte della stessa sostanza, di aspetti più adattivi, altri meno, ed è l’intreccio specifico di geni e ambiente in cui un individuo vive a determinare la sua irripetibile unicità.
E’ la cultura cui si fa riferimento a offrire una lente attraverso la quale leggere il mondo ed è chiaro che alla base di questo magma mediatico sul caso Varani ci sia uno scontro tra culture diverse.
Ciò che è in discussione è il fronte della tolleranza, dell’uguaglianza nel rispetto delle singole diversità, della liberazione sessuale, della parità dei generi e di tutto quel panorama culturale che affonda le sue radici nella lotta al razzismo e al sessismo, oltre che nel femminismo.
Detto questo, si può dare orgogliosamente il nome che si preferisce a una cultura simile, sia anche quello di “cultura gay”.
Luca Varani si offre come specchio e, allo stesso tempo, come spettro di una società permeata da una ristrettezza di vedute e alimentata da una serie di fobie che portano al martirio mediatico di un ragazzo già morto.
Per chiudere, alcuni spunti di riflessione:
che non sia questa stessa cultura a doversi interrogare su alcuni aspetti non indifferenti di questo episodio?
Che non sia l’ignoranza dilagante quella che porta Foffo a doversi giustificare con l’alcol e la droga per un presunto legame sessuale, se non affettivo, con Prato che lo qualificherebbe socialmente come omosessuale?
Certamente, lui non conta perché è un folle omicida. Bene.
E non può essere stata questa stessa ignoranza ad aver presumibilmente portato Luca a ricercare sesso a pagamento, piuttosto che viverselo alla luce del sole e non come una merce di scambio in nero?
E come la mettiamo con la circolazione di quantità tanto ingenti di sostanze stupefacenti a fronte di denaro, oltre che con la sua associazione arbitraria al sesso libero, come se fossero corresponsabili di un omicidio?
Il sesso libero (attenzione: libero da pregiudizi, non da precauzioni) è ancora visto come qualcosa di così torbido?
Magari le coscienze dovrebbero prima di tutto rispondere a questo.
Magari.
Christopher Pacioni